Onorevoli Colleghi! - «(...) Nella zona industriale di Porto Marghera troveranno posto prevalentemente quegli impianti che diffondono nell'aria fumo, polvere o esalazioni dannose alla vita umana, che scaricano nell'acqua sostanze velenose, che producono vibrazioni e rumori» (articolo 15, comma 3, delle «Norme tecniche di attuazione del Piano regolatore di Venezia», 1962).
      Questa norma, rimasta in vigore fino al 1990, è stata applicata alla lettera per trent'anni. Ecco come è sorto il più grande polo chimico italiano ai bordi di uno dei luoghi più preziosi al mondo: la laguna di Venezia.
      Settanta anni di attività industriale, parte della quale in settori altamente inquinanti (solo nel 1982 si ha il primo provvedimento normativo per lo smaltimento dei rifiuti) che ha prodotto, in un'area ad elevatissima sensibilità ambientale, quale quella della laguna di Venezia, gravi problemi di deindustrializzazione, fra i quali non si possono tacere quelli legati agli enormi residui di lavorazioni tossico/nocive. Contaminazioni che riguardano l'aria, le acque e parte dei fondali della laguna, talvolta le falde e le acque sotterranee, parte consistente delle superfici.
      Per questi motivi, l'area industriale di Porto Marghera è stata inserita al primo posto della lista dei siti di interesse nazionale. Essa fa parte delle aree dichiarate ad elevato rischio di crisi ambientale in cui si concentrano diverse attività industriali che nel complesso interessano direttamente decine di migliaia di lavoratori e indirettamente

 

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circa 11 milioni di abitanti residenti nelle zone limitrofe. Spesso aree di enorme valore dal punto di vista ambientale, naturalistico e storico-artistico.
      Va citato il grande sforzo profuso dall'amministrazione comunale di Venezia che negli anni 1993-1997 ha prodotto un vasto programma di riqualificazione della zona industriale di Porto Marghera. Tale sforzo, culminato nell'approvazione della variante del piano regolatore generale per Porto Marghera, ha consentito di gestire e promuovere le prime riconversioni industriali (ammontanti oggi ad oltre 350 ettari) e a gettare le basi (anche normative) per i primi piani di risanamento ambientale della zona (bonifiche dei lotti dismessi) attraverso una prima importante serie di piani di recupero. Lo sforzo pubblico di enti pubblici, di enti territoriali e locali comunque, pur avendo sostanzialmente contribuito a segnare una prima inversione di tendenza, non è ancora sufficiente a completare l'azione di risanamento delle zone ancora oggi occupate da industrie pesanti, di cui si conosce con sufficiente precisione la prossima fine del ciclo industriale e di mercato (come del resto più volte rappresentato anche dalla sempre più ristrutturata industria chimica italiana).
      Il gruppo di esperti ai quali la regione Veneto ha affidato l'incarico di elaborare una prima bozza di master plan ha stimato in 750 ettari le aree contaminate, di cui 395 individuati come aree di intervento prioritario.
      Ultimi dati allarmanti emersi dalla Conferenza internazionale «Dioxin 99» confermano la presenza di elevate concentrazioni di diossina nei canali industriali che necessitano di essere prontamente affrontate, con metodi e tecniche moderni. Infatti, anche a seguito dell'applicazione dell'accordo di programma per la chimica a Porto Marghera, sono stati stimati volumi per 1.500.000 metri cubi di fanghi da rimuovere perché gravemente inquinati.
      A supporto delle attività inerenti il controllo delle emissioni in atmosfera, la provincia di Venezia ha avviato, già dal 1998, i lavori per la realizzazione di un inventario delle fonti di emissione presenti sul territorio della provincia denominato «monitor».
      Il progetto ha raccolto le informazioni di circa 2.500 punti di emissione che sono stati per la prima volta analizzati e raccolti in modo da poter fornire delle informazioni globali sul rilascio degli inquinanti; per la prima volta, quindi, si sono potuti valutare con certezza numerica gli apporti di sostanze inquinanti nell'atmosfera di ogni singola ditta, comparto produttivo, area geografica particolare, eccetera.
      La tabella che segue evidenzia gli enormi quantitativi di inquinanti emessi in un anno solamente dal comparto chimica relativo all'area industriale di Porto Marghera (dati aggiornati al 1o marzo 1999).

COMPARTO CHIMICA
Inquinante
kg/anno
Inquinante
kg/anno
2,4-Diisocianato di toluene
26,25
Dimetil Acetammide
847.211,16
Acetato di etile
374,40
Dimetilammina 25,20
Acetato di vinile 47.052,87 Dimetilformammide 131,40
Acetilene 24.418,71 Esaclorobenzene 408,00
Acetone 436,96 Esano 19,14
Acido acetico 14.351,72 Etilcloroformiato 2,88
Acido cianidrico 1.534,63 Fenolo 12,60

 

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COMPARTO CHIMICA
Inquinante
kg/anno
Inquinante
kg/anno
Acido cloridico 22.484,95 Fluoro e fluoruri 1.068,60
Acido nitrico 149,10 Fosgene o cloruro
di carbonile
4,80
Acido solforico 64.372,80 Furfurolo 210,24
Acqua ossigenata 0,04 Glicole monopropilenico 5,67
Acrilonitrile 23.373,85 Idrato di sodio 770,88
Alcool etilico 2,88 Idrocarburi 1.218,75
Alcool n-butilico 3.168,00 Idroclorofluorocarburi 45.734,40
Alcool t-butilico 61,04 Idrogeno 8.084,45
Aldeide acetica 1.681,12 Idrogeno solforato 36,12
Ammoniaca 97.494,11 Ipoclorito di sodio 5.124,60
Anidride carbonica 7.227.000,00 Monossido di carbonio 2.747.419,51
Benzene 647,51 n-butilacetato 300,00
Bisfenolo A 9,60 Nitrotoluene 95,70
Butilammina 353,30 O-diclorobenzene 8,52
Caprolattame 291,25 Ossidi di azoto 5.512.319,93
Cianuri 140,16 Ossidi di zolfo 6.270.864,04
Cicloesanone 3.318,99 Particelle sospese totali 513.963,90
Cicloesanossima 4,91 Percloroetilene 46,20
Cloro 6.144,42 Piombo 195,00
Clorurati organici 7.945,07 Plastificanti del PVC 17,75
Cloruro di benzile 216,00 Protossido d'azoto 1.848.682,00
Cloruro di metilene 859,20 Solfuro di carbonio 162,50
Cloruro di vinile 7.731,60 Stirene 0,00
Cloruro di vinilidene 1,2 0,06 Tetracloroetano -1,1 2,2 13,57
Composti del mercurio 0,13 Tetracloruro di carbonio 163,20
Composti organici volatili 20.541,60 Toluene 6.601,56
Dicloroetano 9,36 Tricloroetilene 46,20

      A Porto Marghera va quindi affrontato seriamente il problema della delocalizzazione di interi cicli industriali, in vista della loro dismissione-riconversione, favorendo contestualmente la conclusione degli interventi relativi al risanamento dell'area: smantellamento e rimozione, demolizioni, rottamazioni e tutte le operazioni necessarie per la bonifica dell'area inquinata, anche sulla base dell'accordo di programma del 21 ottobre 1998, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 febbraio 1999, modificato con un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nello scorso 2001.
      Attualmente le attività produttive (quindi non solo l'industria chimica) di Porto Marghera contano circa 14.000 lavoratori (diretti). Un declino occupazionale se si pensa che alla fine degli anni '60 nell'area industriale lavoravano poco meno di 40.000 persone.
      Il dato apparirebbe drammatico se non si fosse consapevoli che la misurazione dell'occupazione operata «in fabbrica» negli anni '60 e '70 non andasse re-interpretata correttamente, a causa della mutata organizzazione del lavoro, accelerata peraltro anche dalle riforme degli anni '90. Infatti, la terziarizzazione, la globalizzazione dei mercati, l'efficienza industriale spesso promossa da nuove tecnologie di processo, hanno consentito di ridistribuire questo importante numero di addetti in molteplici attività di settore (concorrendo anche a fare crescere notevolmente

 

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le piccole e medie imprese di cui è ormai costellato l'intero nord-est del Paese). L'Autorità portuale di Venezia, ad esempio, attraverso importanti istituti di ricerca locali (CoSes), ha potuto misurare - nel 2000 - che l'occupazione diretta ed indiretta garantita dalla presenza del porto commerciale e industriale misura 18.500 lavoratori e si regge, principalmente, sull'economia indotta dal porto commerciale. Quest'ultimo, peraltro, appare in forte crescita (12 milioni di tonnellate su 29 di totale annuo nel 2001) e in linea con il recupero della vocazione mercantile, portuale e logistica del capoluogo veneto, oltre che con le disposizioni dettate dalle leggi speciali per Venezia e dalle direttive comunitarie in materia.
      Dunque il rischio di perdita di occupazione e di effetti negativi sull'economia locale, conseguenti alla dismissione, con eventuale rilocalizzazione o delocalizzazione dei cicli produttivi più compromessi, è molto elevato e concreto. Infatti dopo la pressoché completa scomparsa dell'alluminio di Stato (anni '80) e la ristrutturazione della siderurgia (anni '70 e 90), solo la ripresa della cantieristica e del porto hanno consentito alla città di Venezia di non essere travolta dal declino dell'industria pesante (si rammenti a questo scopo l'inserimento della zona di Porto Marghera nelle aree dell'obiettivo 2 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, ovvero nelle cosiddette «aree depresse» - ad opera dell'Unione europea). Bisogna inoltre rammentare che le politiche di investimento della chimica di Stato non hanno premiato politiche di riconversione verso la cosiddetta «chimica fine», concorrendo anche a disperdere quel patrimonio di ricerca, di conoscenze e di professioni che costituiva una parte sostanziale del cosiddetto «trade-off» sociale (ricerca, università, scuole, specializzazioni, occupazione, eccetera).
      Tale progressivo deperimento degli investimenti, diretti e indiretti, che l'industria avrebbe dovuto promuovere - come del resto affermato anche dai vertici di Eni-Enichem presso la sede della Presidenza del Consiglio dei ministri alla fine di dicembre 2002 - ha così favorito una lunga serie di dismissioni, per parti, di impianti e di luoghi, autentico segnale di abbandono del territorio, e, talvolta, anche di degrado. Lo spazio lasciato alle industrie concorrenti completa anche il quadro della pressocché totale fuoriuscita del nostro Paese dal settore chimico. Appare dunque chiaro che risulta quasi impossibile sostenere ancora che la chimica di base sia un patrimonio su cui investire; caso mai c'è da domandarsi come uscirne bene, per il nostro ambiente e per la nostra società civile.
      È peraltro assolutamente necessario uscire dalla logica della contrapposizione tra lavoro, salute e sicurezza, soprattutto in un'area - come quella di Porto Marghera - con un inquinamento chimico a livelli insostenibili sia dal punto di vista sanitario che ambientale, con una tragica storia di morti per esposizione ai composti cancerogeni prodotti nel Petrolchimico, con un altissimo rischio a cui sono perennemente sottoposti non solo i lavoratori, ma anche gli abitanti delle aree limitrofe, costretti a convivere con le decine di incidenti verificatisi in questi ultimi anni nell'area industriale.
      Un polo industriale tristemente famoso per le vicende giudiziarie che hanno portato sul banco degli imputati i vertici della chimica italiana per la morte di 187 lavoratori a causa di patologie connesse all'esposizione di cloruro di vinile monomero (CVM).
      Un documento del 1972, scoperto dal pubblico ministero Felice Casson e presentato al processo di appello per i morti al Petrolchimico di Porto Marghera, dimostra l'esistenza di un vero e proprio «accordo di segretezza» tra i maggiori rappresentanti delle industrie chimiche europee e americane, per nascondere uno studio condotto in Italia che dimostrava la cancerogenicità delle esposizioni al CVM utilizzato da molte aziende.
      La presente proposta di legge si pone l'obiettivo di fornire strumenti per una riconversione eco-compatibile dell'industria di Porto Marghera, prevedendo la chiusura progressiva degli impianti e della relativa filiera legata alla chimica del cloruro entro un lasso di tempo ben definito e, parallelamente, la predisposizione di strumenti incentivanti per la salvaguardia dei posti di lavoro inevitabilmente compromessi
 

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dal relativo processo di riconversione.
      Si propone altresì l'estensione dei benefìci previdenziali previsti dalla legge n. 257 del 1992 per i lavoratori esposti al rischio amianto, a tutti i lavoratori esposti al rischio chimico connesso alle esposizioni al CVM.
      È necessario pensare ad un insieme di interventi di politiche attive, interventi che siano non solo risarcitori nei confronti del singolo lavoratore, ma soprattutto funzionali a un suo concreto reimpiego nel mondo del lavoro.
      A tale fine va tenuto presente che l'area che si renderebbe disponibile - dopo tutti gli indispensabili interventi di bonifica e di risanamento ambientale - è un'area straordinaria e altamente infrastrutturata, capace quindi di rispondere efficacemente alla forte domanda di insediamenti produttivi e di servizio presente soprattutto nella zona nord-est del Paese. In questo senso il progetto di riconversione industriale - che dovrà comunque essere governato localmente - deve poter prevedere e favorire la nascita di nuove attività produttive eco-compatibili e il conseguente assorbimento dei lavoratori e di tutte quelle professionalità esistenti, coinvolte inevitabilmente dall'operazione di dismissione dell'industria chimica pesante e dalla conseguente riconversione industriale dell'area.
      Con l'articolo 1 si dispone la chiusura progressiva dei cicli industriali più a rischio, con i relativi interventi di disinquinamento e di recupero ambientale dei siti.
      L'articolo 2 prevede, nelle operazioni di bonifica, l'utilizzazione del personale impiegato presso gli stabilimenti dismessi, previa la loro partecipazione ad attività di formazione per la necessaria riqualificazione professionale. È prevista altresì l'utilizzazione di tale personale da parte delle nuove aziende che potranno insediarsi nelle aree recuperate. È evidente che le nuove attività produttive dovranno caratterizzarsi per produzioni ad elevata sostenibilità ambientale.
      Con l'articolo 3 è istituito un contributo alla retribuzione per ogni lavoratore assunto. Il contributo è previsto più elevato per le imprese interessate nelle operazioni di bonifica e per quelle che operano in settori di attività rivolti alla cura della persona, dell'ambiente, del patrimonio artistico e culturale della socialità.
      L'articolo 4 prevede l'estensione dei benefìci stabiliti dall'articolo 13, comma 8, della citata legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, a tutti quei lavoratori che sono stati esposti, indipendentemente dagli anni di esposizione, al rischio da CVM. Il comma 3 dell'articolo 4 stabilisce un tempo massimo entro il quale il lavoratore deve presentare le domande per la concessione dei suddetti benefici. E questo al fine di poter quantificare con una certa precisione il fenomeno e programmare correttamente le risorse finanziarie necessarie.
      L'articolo 5 prevede la necessaria copertura finanziaria.
 

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